
Nel vasto e misterioso blu degli oceani, una minaccia invisibile sta crescendo in silenzio, ma con effetti devastanti: le microplastiche. Questi frammenti di plastica, inferiori ai cinque millimetri di diametro, rappresentano una delle sfide ambientali più gravi del nostro tempo. Nel 2024, la situazione è diventata allarmante, con nuove ricerche che evidenziano l’ubiquità e l’impatto di questi inquinanti sui nostri ecosistemi marini.
Uno studio recente condotto dal Centro Helmholtz per la Ricerca Ambientale (UFZ) e l’Istituto Alfred Wegener (AWI) ha rivelato che l’inquinamento da plastica non si limita alle aree note come “garbage patches”, ma si estende anche in regioni marine remote e protette. Questa scoperta sottolinea l’urgenza di un’azione globale per ridurre le emissioni di plastica negli oceani e la necessità di un Trattato sulla Plastica che affronti il problema alla radice.
La plastica, una volta finita in mare, si frammenta lentamente in particelle sempre più piccole a causa degli agenti atmosferici e della disintegrazione. Questi frammenti, se ingeriti dalla fauna marina, possono causare gravi danni alla loro salute e perturbare l’equilibrio biologico degli ecosistemi marini. Durante una spedizione di cinque settimane sulla nave da ricerca tedesca “Sonne” nel 2019, i ricercatori hanno prelevato campioni di acqua superficiale nell’Oceano Pacifico settentrionale tra Vancouver (Canada) e Singapore. I campioni sono stati selezionati lungo il percorso della nave basandosi su un modello di previsione dell’Università delle Hawaii, che calcola la probabile presenza di plastica in una determinata area marina.
Per determinare la quantità di plastica nell’acqua superficiale, il team ha utilizzato due metodi. Il primo consisteva in un’indagine visiva, durante la quale due scienziati a bordo della “Sonne” contavano gli oggetti di plastica visibili ad occhio nudo e ne documentavano forma e dimensioni. Il secondo metodo prevedeva l’uso di reti neustoniche trainate in superficie per raccogliere campioni in nove stazioni. I ricercatori hanno poi analizzato i campioni per determinare la quantità di microplastiche, particelle di plastica con un diametro inferiore ai cinque millimetri. Le particelle di plastica di ogni campione sono state ordinate per dimensione e conteggiate, e successivamente analizzate chimicamente tramite spettroscopia infrarossa per stimare il loro stato di degrado.
Il risultato più sorprendente e allo stesso tempo preoccupante dello studio è stato il ritrovamento di grandi quantità di microplastiche, particolarmente piccole, in un’area marina protetta remota a nord-ovest di Hawaii. Questo dato contraddice le previsioni del modello di previsione, che indicava una presenza minore di plastica in quell’area. I microplastici sono probabilmente distribuiti molto più ampiamente negli oceani di quanto si pensasse in precedenza.
Un altro studio pubblicato su Environmental Research Letters suggerisce che tagliando l’inquinamento da plastica del 5% l’anno basterebbe per invertire la tendenza attuale e stabilizzare i volumi di microplastiche negli oceani. Questo obiettivo richiede però un cambiamento radicale a livello di industria e una riduzione sostanziale della produzione di plastica e della quota che finisce in mare.
Il Mediterraneo, uno dei mari più inquinati al mondo, si concentra il 7% delle microplastiche a livello globale. Ogni anno, dai 4,8 ai 12,7 milioni di tonnellate di plastica finiscono negli oceani, con conseguenze dirette sulla salute umana e sugli ecosistemi marini.
La lotta contro le microplastiche è una battaglia che dobbiamo affrontare insieme, come comunità globale. È essenziale aumentare la consapevolezza su questo problema e agire con decisione per proteggere i nostri oceani, veri polmoni del nostro pianeta. La riduzione dell’uso della plastica, il riciclo e la pulizia degli oceani sono passi fondamentali verso un futuro più sostenibile. La nostra azione oggi determinerà la salute degli oceani domani.