
Il risultato elettorale riflette la polarizzazione tra due blocchi ideologici contrapposti: da una parte il centro-destra del Pp e l’ultradestra di Vox, che hanno fatto campagna contro le politiche progressiste e il dialogo con i separatisti catalani del governo Sanchez; dall’altra il centro-sinistra del Psoe e la sinistra radicale di Sumar, che hanno difeso le riforme sociali e la via negoziale per risolvere la crisi territoriale. Tuttavia, nessuno dei due blocchi ha raggiunto la maggioranza assoluta, rendendo necessario il coinvolgimento di altre forze politiche per sbloccare lo stallo istituzionale.
Tra queste, il ruolo chiave potrebbe spettare ai partiti nazionalisti catalani e baschi, che hanno ottenuto complessivamente 26 seggi. In particolare, il partito Junts per Catalunya (JxCat) del leader indipendentista Carles Puigdemont, che si trova in esilio in Belgio per sfuggire al mandato di arresto spagnolo per il tentativo di secessione del 2017, potrebbe essere decisivo per la formazione di un governo. JxCat ha ottenuto 8 seggi (3,1%) e ha espresso la sua disponibilità a sostenere un governo di sinistra a patto che si apra una tavola di dialogo sul futuro della Catalogna.
Feijóo ha rivendicato il diritto del Pp di formare il governo come partito più votato e ha chiesto al Psoe un patto di neutralità per evitare un periodo di incertezza in Spagna. Sanchez ha invece celebrato la sconfitta del “blocco involuzionista” rappresentato dal Pp e da Vox e ha ribadito la sua volontà di proseguire sulla strada delle riforme progressiste e del dialogo con le regioni. Entrambi i leader hanno escluso una grande coalizione tra le due principali forze politiche spagnole.
La Spagna si trova quindi di fronte a uno scenario complesso e incerto, in cui sarà necessario trovare un accordo tra forze politiche molto diverse tra loro per garantire la governabilità del Paese. In caso contrario, si potrebbe aprire la prospettiva di un nuovo ritorno alle urne, il quinto in sei anni.
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